Per dare subito la dimensione di cosa fu, il carcere dell’Asinara venne soprannominato “l’Alcatraz d’Italia”….
Un articolo de “La Nuova Sardegna” descrive il carcere dell’Asinara così: “… i fari accesi tutta la notte e armi puntate a decine… fanno sì che “nessuno è mai interamente solo”, si tratta di un “monumento alla paura” dove “i detenuti e anche le guardie vi sono tenuti in condizioni subumane”.
Il carcere dell’Asinara divenne famoso non solo per essere un luogo da cui era praticamente impossibile fuggire, ma anche perché le condizioni di vita che i prigionieri dovevano subire erano state definite disumane. Sono numerose, infatti, le testimonianze che hanno portato alla luce la durezza del carcere e, molto spesso, le denunce che ebbero più risonanza si originavano dal mondo della politica. È il caso del liberale Raffaele Costa che, dopo aver visitato il carcere dell’Asinara, disse: “Ho visto un cimitero, uomini ridotti a cadaveri viventi, con un fiore in testa”. Anche Franco de Cataldo, a seguito della sua ispezione, utilizzò queste parole per descrivere l’Asinara: “E’ un’istituzione della violenza, è un lager. Va chiuso perché indegno di qualsiasi società civile”.
Storia del carcere dell’Asinara
La storia del carcere dell’Asinara iniziò nel 1885 con l’istituzione di una Stazione Sanitaria (era quella l’urgenza) e di una Colonia Penale (come già successo su altre isole italiane).
L’isola fu requisita dallo Stato italiano, i quasi cinquecento abitanti delocalizzati (pastori e contadini nelle aree interne della Nurra tra l’Argentiera e Castelsardo, pescatori sulla costa a fondare il borgo di Stintino nel comune di Sassari, dove già c’era una tonnara).
Durante le due guerre mondiali, il carcere dell’Asinara divenne un campo di prigionia: durante la Grande guerra furono condotti nell’isola 23 mila prigionieri austro-ungarici, ma al momento della liberazione, per via del colera, solo 16 mila tornarono a casa (nell’ isola si trova l’ ossario, all’ interno del quale si trovano le spoglie dei prigionieri austro-ungarici deceduti nella colonia penale durante la guerra); durante la seconda guerra mondale, invece, l’isola ospitò centinaia di prigionieri etiopi, tra cui la figlia di Hailé Selassié, ultimo Imperatore di Etiopia.
Negli anni settanta, su indicazione del Generale Dalla Chiesa, fu istituito una sorta di doppio regime penitenziario: da una parte, alcuni prigionieri venivano fatti lavorare all’esterno del carcere per allevamento zootecnico, dall’altro, una parte dell’isola (a cominciare dalla diramazione di Fornelli) venne trasformata in carcere di massima sicurezza, per prigionieri condannati per sequestro di persona, per componenti delle Brigate Rosse (tra cui Renato Curcio, Maurizio Ferrari, Roberto Ognibene, Alberto Franceschini e Lauro Azzolini, che il 2 ottobre 1979 organizzarono una clamorosa rivolta per protestare contro le condizioni di reclusione ritenute esageratamente dure) e per i boss di mafia, camorra e altre organizzazioni criminali.
Totò Riina è stato uno degli ultimi mafiosi detenuti nell’isola, “soggiornando” in un bunker a Cala d’Oliva per quasi 4 anni, dal 21 dicembre 1993 al luglio 1997.
Falcone e Borsellino sull’isola dell’Asinara
Nel 1985, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone passarono l’estate all’Asinara. A causa delle loro indagini, erano diventati il bersaglio principale della più grande organizzazione criminale mondiale e il Tribunale di Palermo non era più sicuro per continuare la lotta alla mafia. Si stava avvicinando, infatti, il Maxiprocesso e l’Asinara fu ritenuta come il luogo più sicuro per finire di scrivere le 8000 pagine d’ordinanza con cui avrebbero dato il via al più grande processo penale della storia d’Italia. La loro vacanza forzata sull’isola, grazie anche al contributo delle loro famiglie che accompagnarono i due magistrati, ebbe successo e permise di celebrare il processo. Borsellino disse che a lui e a Falcone lo stare sull’isola dell’Asinara non era dispiaciuto, ma per le loro famiglie, spendere un’estate in un’isola-carcere non era stato proprio l’ideale.
L’Asinara ha ospitato quindi una delle carceri più dure che l’Italia abbia mai conosciuto.
Distante dieci chilometri dalle coste della Sardegna, l’isola dell’Asinara è circondata da forti correnti che rendono molto difficoltoso qualsiasi tentativo di fuga a nuoto. Questo ha permesso al carcere dell’Asinara di diventare il carcere con meno evasioni della storia. L’unica persona che riuscì nell’impresa (anche se il tutto resta avvolto nel mistero) fu Matteo Boe (esponente di spicco del banditismo sardo), nel 1986.
Nel 1998 il carcere è stato ufficialmente chiuso e dal 2002 fa parte del Parco Nazionale dell’Asinara, nato proprio in quell’anno.